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Una psicosi di transfert

prospettive cliniche nel lavoro con pazienti borderline

La capacità che il paziente ha, o sviluppa in analisi, di indagare e di cogliere il nostro modo di funzionare, di introiettarlo e di interagire con esso costituisce un aspetto particolarmente importante del lavoro analitico.
Questo processo è all'opera costantemente e muta nel corso dell'analisi, o anche durante una singola seduta, e avviene il più delle volte in modo inconscio e spesso al di là delle parole.
È probabile che la nostra sensibilità o insensibilità in questa area possa sviluppare o bloccare molte esperienze analiticamente significative.
È tuttavia difficile stabilire quando l'introiezione avviene sulla base di percezioni corrette, o quando sotto l'influsso di oggetti interni primitivi e di esperienze del passato, che possono distorcere seriamente l'immagine dell'analista; o quando ancora agiscono ambedue le situazioni.
È di fondamentale importanza discriminare tra introiezioni di percezioni corrette ed eventuali distorsioni, consce od inconsce. E' necessario saper condividere la responsabilità, evitando di facilitare nel paziente l'introiezione di una immagine troppo idealizzata, e quindi invivibile, di noi.
Una ridotta recettività dell'analista in questa area della relazione può bloccare nel paziente la capacità di esplorare e di osservare correttamente l'altrui e la propria realtà interna.
 L'autore sviluppa i punti sopracitati descrivendo una esperienza di lavoro con un paziente borderline.

La definizione “psicosi di transfert”, così com'è generalmente accettata, si riferisce all'emergere di manifestazioni psicotiche all'interno della relazione analitica. Di solito il paziente borderline riesce a distinguere tra esperienza interna e percezione della realtà esterna.
Secondo Kernberg, uno degli psicoanalisti che si è occupato di più ed in modo estremamente attento delle condizioni borderline, la perdita dell'esame di realtà che si produce nella psicosi di transfert non interferisce vistosamente nella vita del paziente, nella sua quotidianità: il paziente può, infatti, sviluppare idee deliranti, comportamenti psicotici, o anche allucinazioni all'interno del trattamento, per giorni o mesi, senza rivelare queste manifestazioni all'esterno.
Durante questo stato il paziente perde la capacità di differenziare tra sé e gli oggetti esterni, tra fantasia e realtà, mescola il passato con il presente, confonde tra sé e l'analista: la sua esperienza è quella di vivere una situazione di intensa angoscia e terrore. L'immagine dell'analista è completamente distorta: c'è una intensa aggressività verso di lui. Per il paziente tenere sotto controllo il terapista in modo aggressivo è questione di vita o di morte.
In questa situazione, tutte le parole e le interpretazioni vengono fraintese; questa per noi è certamente l'esperienza più sconvolgente.

Quello che scaturisce dal pensiero di Rosenfeld è l'idea che l'analista può sviluppare una capacità di guardare in modo nuovo alla psicosi di transfert e non considerarla solo come una minaccia di rottura.
Se compresa profondamente, la psicosi di transfert permette di gettare luce e stimolo ad un'ulteriore comprensione del paziente, e solo questo lavoro aiuta a capire di più la psicopatologia di base del paziente ed è in grado di far progredire il trattamento analitico.

Anche Kernberg (1975) sottolinea l'importanza, dal punto di vista clinico, della psicosi di transfert e ci consiglia di guardarla con attenzione per arricchire il nostro punto di vista genetico: “La psicosi di transfert rappresenta la riproduzione di relazioni oggettuali inconsce e patogene del passato e fornisce ulteriori informazioni sui conflitti del paziente” — “In questi pazienti, i confini dell'Io vengono a mancare in quelle sfere in cui si verificano la identificazione proiettiva e la fusione con gli oggetti, ed è questo il motivo per cui questi pazienti sviluppano una psicosi di transfert”.La psicosi di transfert, per Kernberg, sembra far parte della natura della relazione d'oggetto, che il paziente tenderà a stabilire in analisi; essa soddisfa bisogni pulsionali primitivi, aggressivi, che ostacolano lo sviluppo del transfert.

Nel lavoro presentato da Rosenfeld a Milano nell'ottobre dell'81, egli afferma che: “È probabile che la manifestazione di una psicosi di transfert, la quale tanto spesso ostacola il trattamento di pazienti borderline, sia dovuta non solo alla mancanza di comprensione, ma anche ad un crescente fraintendimento tra paziente ed analista. Una delle cause di incomprensione è quella della difficoltà di percepire la comunicazione non verbale del paziente … Parallelamente il paziente può percepire gli aspetti non verbali dello stile comunicativo dell'analista, che di fatto mutano e distorcono quello che l'analista intende consciamente comunicare …” .

Tratto da:
De Masi, F. (1984). Una psicosi di transfert: prospettive cliniche nel lavoro con pazienti borderline (*). Rivista Psicoanal., 30:55-72

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